submenusubmenu
< GO BACK
Cucinare a pressione

Stufare o brasare? Qual è la differenza e perchè a pressione è meglio

Due cotture tipicamente lunghe che valorizzano al massimo l’utilizzo della pentola a pressione. Scopriamone i segreti.

Qual è la differenza tra stufato e brasato?

Questa è la prima domanda, ma potrebbe essere anche l’ultima! Nel senso che potrete passarci la notte, cercando di districarvi tra i più augusti pareri e, alla fine, ritrovarvi più confusi di prima. So di amici al ristorante che hanno dedicato intere serate alla discussione, iniziata per caso davanti a uno stufato al latte e un brasato al barolo; quando poi al tavolo vicino un commensale si è permesso di ordinare uno stracotto al brandy, si è sfiorato lo scontro…

Per evitare tutto ciò lasciamo stare per una volta la rete e rivolgiamoci ai testi “sacri” — o giù di lì.

Pietanze “italiane”

Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, Vincenzo Buonassisi, giornalista, scrittore e gastronomo di fama raccolse in un libro ormai irreperibile, La cucina degli Italiani (Idealibri, Milano 1988), 2500 ricette Italiane con la I maiuscola, discettando su peculiarità regionali e usi linguistici. A proposito della differenza stufato-brasato (e stracotto, che lui accomunava al brasato) tra l’altro scrisse: “Ci sono stati tentativi di dare un ordine sistematico a questo settore culinario, ma la realtà è che non si riescono a trovare classificazioni sicure, perentorie: a parte il fatto che si tratta di cotture lunghe, in umido, con sughi sempre ricchi e brillanti. Forse possiamo considerare la categoria degli stufati come quella dei piatti in cui si cuoce la carne tagliata a pezzi o a fettine.” E il brasato? “Qui il pezzo di carne rimane unico, — continuava Buonassisi — steccato e poi cotto per ore con altri ingredienti.”

Accademie e federazioni

Nel 2000 l’Istituto Nazionale della Nutrizione, insieme alla Federazione Italiana Cuochi e all’Accademia della Cucina Italiana, nel volume La Nuova Cucina d’Oro (Mondadori, Milano 2000) altrettanto fuori catalogo, sostenne che “Per il brasato si inizia con una rosolatura a fuoco vivo; per lo stufato invece la carne va messa a freddo nella casseruola, insieme con le verdure aromatiche e i grassi necessari. Poi si aggiungono, sia nel brasato sia nello stufato, vino o brodo, passato di pomodoro o semplicemente acqua.” E lo stracotto? Non pervenuto!

I tagli da preferire

Sono passati circa vent’anni da queste testimonianze e la soluzione del quesito rimane soggettiva; quello che è certo è che tutte le ricette di brasato o stufato prevedono l’uso del manzo, che dev’essere di colore rosso vivo, leggermente venato di bianco, con fibre muscolari sottili e fitte. Se ben frollata, la carne risulta elastica sotto le dita e, appena lasciata la pressione, ritorna allo stato iniziale. Che si cuocia a tocchetti piuttosto corposi o in un pezzo unico, poi, i tagli migliori sono quelli che provengono dai muscoli anteriori, inizialmente duri perché sottoposti a movimento, ma via via più morbidi con il procedere della cottura.

A proposito di cottura

La cottura tradizionale di qualsiasi ricetta di brasato, o stufato, richiede almeno 120 minuti: un tempo troppo lungo per la maggior parte delle cuoche e dei cuochi di oggi. Ma, se teniamo a non disperdere ghiotte ricette della tradizione come queste, possiamo ricorrere con tranquillità alla pentola a pressione, che dimezza il tempo di cottura. In qualche caso, secondo la preparazione, può capitare di dover aggiungere liquidi e aromi dopo aver fatto sfiatare la valvola e aperto la pentola. A quel punto, si può cuocere ancora un po’ la carne a pentola scoperta, per assicurarsi che sia “bagnata” al punto giusto, oppure toglierla dalla pentola e continuare la cottura del solo sugo, per restringerlo qualche minuto e cospargerlo infine sul brasato/stufato prima di servire. La preparazione in pentola a pressione, tra l’altro, distribuisce in modo omogeneo il calore e preserva i liquidi, in particolare degli umidi, che mantengono così tutti i loro aromi.